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La fabbrica dei “diversamente giovani”, alcune idee per una previdenza intelligente

Pubblicato originariamene su Strade

Mi faccio delle domande: sarà che ormai faccio praticamente parte della categoria, sarà che anche una azienda che è fatta tradizionalmente di giovani dopo quasi cinquanta anni di vita un po’ di “diversamente giovani” comincia ad averli.

Che con l’innalzamento della vita media occorre alzare l’età della pensione è innegabile, non dimentichiamo che da lì viene molto del dissesto finanziario che ci ha portato oggi in una profonda crisi. Ci sono però delle implicazioni, anche organizzative, che sto analizzando anche direttamente.

Il lavoro manuale, anche se da tempo c’è la massima attenzione all’ergonomia, agli sforzi e ai carichi di lavoro, è e resta lavoro manuale. Lavorare tutto il giorno su una linea di montaggio, tutti i giorni, non è una passeggiata. Farlo per decine di anni porta inevitabilmente qualche acciacco e qualche problema in più rispetto a chi fa un lavoro solo intellettuale.

In un mondo ideale ci sarebbero persone giovani e scattanti a fare lavori pesanti e una componente di sforzo fisico che decresce con l’avanzare degli anni. Probabilmente nelle aziende maggiori è possibile. Nel mondo reale mi trovo con i giovani che certi lavori non li vogliono fare, a volte perché hanno studiato quindi non si abbassano, a volte perché la mamma dice che “mio figlio mica può lavorare tutto il giorno in fabbrica” (anche se non sa fare assolutamente nulla) perché è troppo impegnativo.

E quindi, spesso, a coprire quei posti, sono proprio le persone più avanti di età che hanno famiglia, bollette da pagare, meno puzza sotto il naso e non hanno più il nonno con la pensione che passa la paghetta. Dividendoli con gli immigrati che nella piramide di Maslow sono ancora a livello basso.

Il problema non è di facile soluzione, perché le aziende, soprattutto quelle piccole, non ce la fanno a risolverlo da sole. Si intrecciano problemi di produttività con problemi del benessere delle persone. Oltretutto la curva delle retribuzioni è quasi lineare: le persone più avanti negli anni sono le più costose mentre la produttività è calante (e spesso non vale solo per i lavori pesanti). Non a caso di norma le ristrutturazioni delle grandi aziende prevedono massicci pre-pensionamenti.

Escludendo tutti coloro che vivono per la pensione (e ne conosco qualcuno di 20 anni) occorre essere innovativi per coloro che sono ancora in grado di dare il proprio contributo alle aziende. Quelle persone di valore che possono andare in pensione ma le aziende terrebbero volentieri. Faccio un paio di proposte.

TutorSpesso le persone più esperte hanno molto da insegnare “sul campo” perché magari non portate all’insegnamento strutturato. Ecco che allora prevedere uno stipendio calante (magari parzialmente defiscalizzato per un netto costante) per passare al part-time e alla posizione di tutor, oltre che di produttore, permetterebbe contemporaneamente di introdurre un giovane in azienda, passargli il “sapere” e allentare i carichi di lavoro dal punto di vista fisico per il tutor.

Pensionato a carico dell’azienda. Persone che ne hanno diritto e vanno in pensione sono un costo per lo Stato. Se l’azienda pagasse la pensione completamente defiscalizzata e con un costo lordo pari al netto perché il pensionato continui a lavorare? Magari con orari liberi e impegno più limitato, lasciando all’accordo tra le parti? L’azienda potrebbe continuare ad avere a disposizione la persona con costi limitati a fronte di un impegno flessibile e limitato, lo Stato risparmierebbe l’importo della pensione.

Conosco già le obiezioni: la defiscalizzazione sarebbe ingiusta nei confronti degli altri, ci sarebbero abusi, non si liberano posti per i giovani.

A chi dice che i pensionati pagano le tasse ricordo che è una partita giro conto ininfluente. Lo Stato dice che ti dà 100, ne tiene 20 di tasse, ma la spesa per pensioni netta è 80. Se quegli 80 li paga una azienda lo Stato perde 20 di tasse ma non paga 100. Gli abusi ci sono già. Molti pensionati collaborano a vario modo con le aziende, spesso in nero proprio per le regolole che impediscono soluzioni differenti.

Per i giovani… Ma davvero pensate che certi anziani che le aziende si tengono stretti perché hanno magari 50 anni di esperienza nel loro lavoro e risolvono i problemi in un secondo siano sostituibili da un ragazzo, per quanto ben formato? Il team ideale sarebbe proprio formato dall’anziano e un giovane capace, il primo ci mette l’esperienza il secondo le nuove tecnologie, la freschezza di pensiero e la creatività per soluzioni nuove. Ma è un sogno, a parte la politica (quanti ne abbiamo ultra settantenni?) e la burocrazia non si fa molto per mettere a frutto la esperienza dei “diversamente giovani”.

E i soliti strillerebbero dello sfruttamento. Invece di utilizzare al meglio le risorse disponibili, come sempre, preferiamo il populismo e la finta equità.