Pubblicato originariamente su Strade
Cari colleghi imprenditori, in troppi ci stiamo dando la zappa sui piedi da soli. Lo dico come imprenditore, una persona che fa parecchi colloqui di lavoro, ma anche come padre, compagno, amico di persone che si trovano a fare colloqui dall’altra parte della scrivania.
Sono il primo, col mestiere che faccio, a essere spesso poco soddisfatto delle persone che si trovano quando si fanno ricerche per il lavoro. Sono il primo a essere insoddisfatto delle prestazioni che a volte le persone danno dopo essere state assunte. Sono il primo a essere insoddisfatto di regole e legislazione sul lavoro di stampo ottocentesco.
Ma le persone le ho scelte io. E a volte, se le prestazioni sono insoddisfacenti, la colpa è anche di chi dirige, dei processi e degli strumenti che le persone hanno a disposizione.
Perché ci stiamo dando la zappa sui piedi?
Tutti concordiamo che il problema maggiore dell’Italia è la produttività, che non cresce, anzi scende. Contemporaneamente moltissimi puntano il dito sulla precarietà che non permette ai giovani di costruirsi una vita. Ecco, secondo me ci stiamo dando la zappa sui piedi perché troppo spesso vedo una esplosiva combinazione delle due cose.
Partiamo dagli stage (e con due figlie laureate non da molto sono diventato un esperto): lo stage nasce per avvicinare studenti e neolaureati al mondo del lavoro, per offrire alle aziende l’opportunità di misurare sul campo un neolaureato, e al neolaureato l’opportunità di fare un periodo di formazione sul campo, di farsi conoscere. Non a caso è previsto un tutor.
Si è trasformato per molti, per troppi, in una scorciatoia per avere mano d’opera a costi risibili. Stagisti che lavorano in modo continuativo, magari anche per più dell’orario canonico, con responsabilità non da stagisti, a volte addirittura in funzioni che necessiterebbero di figure senior (ne ho sentite raccontare di tutti i colori). Aziende che ogni 6 mesi cambiano l’addetto sostituendolo con un altro stagista.
O i contratti a termine, più che legittimi se servono per cose a termine: picchi di lavoro, maternità, malattie lunghe, anni sabbatici, ecc. Ma davvero è possibile fare contratti a termine di qualche mese con rotazioni anche qui semestrali?
E gli interinali? Vale lo stesso discorso fatto per i contratti a termine, ma so di aziende che hanno interinali per anni (oltretutto qui mi è oscuro il discorso dei costi, visto che c’è anche da sostenere il margine dell’agenzia) che finiscono regolamente lasciati a casa per non assumere.
Lo so che è un paese dove si fa prima a chiudere tutta l’azienda che a licenziare una persona, ma così non va. Non è che per non assumere una persona devo farla girare come una trottola, finendo poi per rinunciare a gente in gamba che nel frattempo ho trovato.
Così non va, perché le aziende sono ormai organismi estremamente complessi che hanno sempre più bisogno di persone con elevatissimo grado di formazione e esperienza – e credetemi, se nella vostra azienda non è così è l’azienda che ha seri problemi.
Quando ormai, a causa della complessità del mercato, dei software, dei processi e delle procedure, i tempi per rendere un minimo produttiva una persona vanno da un mese a un anno, mi spiegate come pensate di fare per avere, ad esempio, un buon servizio clienti affidandolo a stagisti che ruotano ogni tre o sei mesi, con i clienti che ogni volta che chiamano si trovano a parlare con uno diverso, che sa poco o nulla? Davvero, senza prendervi in giro, spiegatemelo.
Vendete davvero un prodotto così semplice e scontato che chiunque può dare supporto? O magari state ottenendo lo stesso risultato di quelle grandi aziende che affidano a call center esterni il supporto ai clienti, e i cui clienti finiscono per cambiare operatore o disdire un contratto, pur di non averci più a che fare?
Davvero pensate che mettendo il mitico “stagista” a seguire gli account dei social network si possa costruire una seria strategia di medio termine? Ho sentito di stagisti addetti all’audit del sistema di qualità (non scherzo).
Oltretutto tutto questo non fa che fornire argomenti (non senza ragione) all’idea di un mondo di imprenditori e di aziende che si riempiono la bocca di CSR (Responsabilità sociale d’impresa: corporate social responsibility), attenzione per le persone, i clienti, la società, e che poi nei fatti dimostrano di non interessarsene per nulla.
No, così non va, perché in questo modo fate male a tutta la categoria, anche a quelle aziende che davvero hanno rispetto per le persone, che magari parlano meno di CSR ma la applicano, che utilizzano, come è giusto, le diverse tipologie di contratto offerte dalla legge in modo consapevole e corretto. E che poi, magari, si trovano a pagare l’ulteriore costo di assumere persone le quali, vista l’aria che tira in giro, appena ottengono il tempo indeterminato si “siedono”.
Se oggi il movimento anti-voucher ha così tanto appeal è perché qualcuno (non tanto nell’industria a quanto so ma per altri settori, compresi i mitici sindacati…) paga a suon di voucher chi dovrebbe invece essere assunto. Se, quando cerchi uno stagista con una vera prospettiva di inserimento, ti guardano con la faccia del tipo “seeeee, dicono tutti così”, è perché sono in troppi a promettere e a non mantenere. Se in giro si pensa che noi datori di lavoro siamo una manica di stronzi è perché molti, troppi, probabilmente lo sono davvero.
E la cosa dovrebbe farci anche arrabbiare come categoria, dal momento che questa è una forma di concorrenza sleale. La nostra fortuna è che poi, con persone più formate, motivate, esperte, clientela più fidelizzata e quindi con una maggiore produttività, si finiscono per avere – nel lungo periodo – prestazioni molto, ma molto migliori.
Se invece la vostra azienda va sempre peggio fatevi delle domande sulla gestione dei vostri collaboratori. E cominciate a pensare che se un’azienda va bene è merito di chi ci lavora, mentre se va male è colpa di chi la dirige.