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Dialoghi Copernicani

Dialogo con Silvia Zanella e Marco Bentivogli

I dati di una ricerca recente effettuata dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano ci rivelano che sarebbero oltre 6,5 milioni i lavoratori italiani che hanno avuto modo di approcciarsi al lavoro agile durante l’emergenza sanitaria: una cifra dieci volte superiore rispetto lo scorso anno.

Il mantra del modello agile è, non a caso, “la persona al centro”. Smart working chiede una leadership agile. Il modello agile considera invece il “time management” come chiave di efficienza ed efficacia. Si tratta di una filosofia del valore del tempo basata sull’ottimizzazione dei processi aziendali, riunioni in primis.

Le tecnologie digitali che permettono di gestire i processi sia on line che off line e da qualsiasi device, agevolano lo smart working?

Lo smart working porta una rivoluzione dell’organizzazione del lavoro ma anche una trasformazione degli stili di management, della leadership, della produttività?

Quando il lavoro non è più funzione del posto (fisico) di lavoro: la liberazione dal cubicolo è veramente un progresso? Un’evoluzione? Una necessità dettata alla crisi pandemica? Oppure la sorveglianza diventa più opprimente con il controllo digitale?

Con il lavoro in remoto, è stato calcolato che si guadagna mediamente 1h20 sottratti al tempo di spostamenti. Ma siamo certi che questo tempo “liberato” diventi tempo libero in più e non allungamento dell’orario di lavoro?

Possibile che il telelavoro diventi la norma: quest’anno, fra 5 anni?

Per qualcuno come artigiani, esercenti commerciali, lo smart working è impensabile; eppure, sembra impraticabile anche per molta PA, perché?

Bisogna prevedere accordi integrativi per compensare maggiori consumi energetici e telefonici, la cancellazione dei ticket pranzo…?

Alcuni puntano il dito sul lato oscuro del lavoro in remoto che, erroneamente, confondiamo con smart working. Si considera che riduca la rete di capitale sociale del lavoratore: C’è effettivamente un’atomizzazione dei legami sociali? Altri mettono in guardia sul rischio della dissolvenza del work-life balance poiché fonde inevitabilmente l’ambiente professionale con quello privato. Si è passati dalla condivisione degli spazi all’eccessiva sedentarietà, entrambi con effetti sull’umore e soddisfazione del lavoratore.

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